COMETA di Gregorio Magini
Fabio e Raffaele sono due antieroi che incrociano le loro vite dentro un romanzo labirintico, tra linee generazionali imbizzarrite, corsi di resistenza per un mondo di orfani, ricerca di un contatto femminile, visioni grottesche, ossessioni agrodolci.
I ricordi dell’infanzia, di quel luogo dove per la prima volta ha visto il sesso, sono per Raffaele un modo per riportare la vita dentro un continuo spazio temporale tinto dal disagio, dall’esasperazione, mentre Fabio rimane immerso in una realtà virtuale, parallela, da misantropo nerd. In questo viaggio generazionale tra piani verticali e rotture di archetipi s’innesta il nuovo romanzo di Gregorio Magini, “Cometa”, pubblicato da Neo Editore.
È il racconto di un’ansia diffusa, introiettata in un mondo disadattato, che nasce già da immagini forti e crude, dove un bambino, tra porte aperte di una stanza, prima vede e poi sente ansiti, tonfi, pacche, risate, il sesso, gli organi genitali dei genitori. Il piacere carnale. L’apocalisse di Raffaele mentre cerca di far sparire voci, rumori e grida di piacere con il suo pianto, i suoi piccoli pugni tirati alle ringhiere. Magini inventa un mondo deformato e lo rende tagliente, come le voci dei due ragazzi. È una realtà dove ogni passo verso l’evoluzione nasconde un’involuzione. Per svelare le contraddizioni, dentro un ritmo a singhiozzo, esplorando un genere sospeso a metà tra il nostalgico, la dilatazione di una crisi generazionale, nell’assillo di un futuro, nello sfondo di una gigantesca cometa. Tutto è vortice dentro un mondo di ragazzi che cercano l’impossibile ma vivono come monadi, in solitudine, aggrappati alle loro storie, nell’iperrealismo, tra psicologia del fantastico e la storia di un corpo umano, tra derive sociopatiche e tensioni verso la politica nel campo universitario.
Il romanzo ha un finale che davvero spiazza, che qui non riveliamo, ma è l’evoluzione profetica della storia di un corpo, del conflitto tra uomo e donna, la rottura di un cordone ombelicale che finisce per sovrastare la spasmodica promiscuità sessuale, la carnalità.
In fondo, tutto nasce da una madre, e tutto si trasforma. Anche in una società psicotica, raccontata sotto il filo dell’esasperazione, con un tono provocatorio, lisergico, on the road.
Magini ha costruito una tela utilizzando una meccanica di parole riproduttiva della realtà che si avvicina davvero a una fotografia ingrandita, per dar vita a uno scenario con più dettagli possibili di un’illusione, quella della forma dell’amore. Il primo.
“L’intera volta celestiale, come un ragno con miliardi di occhi, mi guardava scivolare sotto la sua pancia. Mentre superavo lo zenit e cominciavo a precipitare, mi passò sopra tagliando la Via Lattea, una palla di fuoco bianco. Ricordo che feci in tempo a pensare mamma! E poi atterrai sull’asfalto.”
Gregorio Magini, nato nel 1980, vive e programma a Firenze. Ha fondato e coordinato il progetto Scrittura Industriale Collettiva, da cui è nato In territorio nemico (minimum fax, 2013). I suoi racconti sono apparsi sulle maggiori riviste letterarie italiane e su numerose antologie. Dopo l’esordio di La famiglia di pietra (Round Robin, 2010), torna al romanzo con Cometa. |