MOLOCH – o della fragilità in scena a Roma
Uno spettacolo con in scena due personaggi, sbandati e inadatti, compagni di vagabondaggi, uniti da un legame muto e delicato, che esplorano un non luogo surreale...
In scena alla Casa della Cul- tura di Roma (18/20 otto- bre), MOLOCH - o della fragi- lità. Una composizione dram- maturgica che mescola dan- za, musica e poesia per dar corpo ai disagi che abitano il quotidiano. In scena due personaggi, sbandati e inadatti, compagni di vagabondaggi, uniti da un legame muto e delicato, esplorano un non luogo surreale e affascinante che lentamente si trasforma in un mostro biblico, bestiale e gigante, fiabesco e irreale, da cui scappare o a cui arrendersi senza rimedio. Un montaggio scenico frutto di una sintesi tra una drammaturgia testuale e una partitura coreografica che filtra direttamente nell'azione qualsiasi possibile ridondanza psicologista, un sogno visionario che racconta la materia delle nostre vicende umane fino a risolversi in uno slancio vitale verso una bellezza che tutto sana e salva. Ché cerchiamo di parlare a qualcosa che non è l’intelligenza. “Il male ci mette alla prova e insieme ci dà l'occasione di guarire”. Alda Merini
C'è un dolore che sembra riguardare soprattutto l'occidente, una distanza spietata tra il nostro sentire e il nostro vivere, tra il dentro e il fuori. Ma è una sofferenza inespressa, un’implosione silente, una frattura che non trova sfogo, che si espande dentro. Il disorientamento è diffuso come un rito comune. Eppure la nostra tragedia è declassata ad una rassegnazione malinconica, ci infliggiamo una serenità posticcia per nascondere il malessere quotidiano di un conflitto impari e feroce. Il nostro è un disagio privato, muto, segreto. Come animale ferito, la nostra richiesta d’aiuto è senza parole. E a forza di contenerci siamo diventati il contrario di un urlo. Io credo ancora nella forza della poesia, nel riscatto della grazia, nella potenza disarmante della delicatezza, come atto di resistenza e di salvazione. Credo nella necessità di indagare la propria fragilità, tratto imprescindibile del nostro essere umani, instabili e precari. Credo nella necessità di proteggerla, la nostra fragilità, di considerarla rifugio, ricettacolo, enclave dalla brutalità, caldo ventre di madre, riparo dalla ferocia del mondo. E come Artaud auspico un teatro capace di tradurre ciò che la vita dimentica, dissimula, o é incapace ad esprimere. Moloch è un’esortazione all’ascolto, un incitamento a non reprimere la propria vulnerabilità, a rivendicarla. Essere friabili, come a dire essere umani. Per contrapporsi all’abisso, per guarire l’urlo di questo mondo dolente e disperato, per prendersi cura del suo vagito straziante e della nostra sete d’aria e luce, per concederci finalmente un’esplosione di gioia.
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